Truth Well Told, la verità ben raccontata, e molto altro…
Mi piace iniziare a parlare di branding immaginando che le marche, come diciamo spesso, siano come delle persone, dotate di una loro identità e di un’anima. Il nostro lavoro funziona bene quando riesci a raccontare l’anima di una marca, il che significa arrivare alla sua essenza, riuscire a far trasparire la sua unicità, a farla ricordare; e questo lo rende un lavoro tendenzialmente durevole, perché una marca, così come una persona, non cambia, ma evolve. Un’evoluzione che segue i tempi e i bisogni, segue il cambiamento delle relazioni che una marca ha con le persone: perché se non evolve, invecchia. Il nostro mestiere, rispetto ad altri legati alla comunicazione, spesso cerca disperatamente di seguire le tendenze, mentre io cerco di allontanarmene.
Quando una tendenza è troppo forte, troppo evidente, non è mai un buon momento per una marca, perché quando una marca segue una tendenza si sta adeguando a ciò che fanno gli altri. Oggi è importante tornare a valutare le marche come elementi unici ed irripetibili, perché solo così diventano desiderabili e senza tempo. Oggi si parla molto di mindfulness, si parla di interiorità, si parla di parte spirituale di ciascuno di noi. Anche le marche devono trovare la loro parte spirituale, che è unica. Tutte le marche per le quali lavoriamo hanno un tratto di unicità, soprattutto quando si va ad indagarne la storia, che è sempre diversa.
In Robilant Associati ci occupiamo di brand identity, e da sempre di packaging design. Una volta il packaging era considerato uno strumento tecnico, che aveva un’importanza secondaria rispetto a quella che una volta era chiamata in generale la “pubblicità”. La strategia di marca era guidata da quest’ultima, non dall’identity e quindi nemmeno dal packaging. Oggi il grande cambiamento, veramente radicale, è che il packaging è forse lo strumento principale di relazione, soprattutto nelle categorie mass market che sono le più diffuse e consumate, perché contiene il prodotto, ed è proprio il prodotto, in assenza di comunicazione, l’unico aspetto che fa da tramite tra un’azienda, la sua marca e le persone.
Oggi c’è bisogno di essere credibili, bisogna tornare alla regola più antica della comunicazione che diceva semplicemente “la verità ben raccontata”. Più delle favole, dell’over-promising, dell’extra expectation, c’è la necessità di vedere un prodotto e credere in una storia autentica e genuina. Abbiamo fatto per molti anni cose che erano nella categoria del “no limits”, anche nel packaging: potevamo fare di tutto. Ma penso che questa società non possa più crescere a volume, mentre dovremmo tornare ad avere più attenzione di valori come le persone, il tempo, le risorse, lo spazio. Abbiamo continuato a credere che tutto potesse crescere in dimensioni, ma abbiamo riempito tutto: abbiamo riempito le tasche gli armadi, le strade, le città, il mondo, le discariche.
La prospettiva invece può solo essere una crescita di valore, non di volume. In che modo? Bisogna concentrarsi su parole come attenzione, rispetto, riduzione. Ma non riduzione della ricchezza o decrescita felice – che diventa difficile da sostenere – bensì una crescita rispettosa, una crescita intelligente, fatta di limiti e di rispetto dell’ambiente, delle persone del tempo e della qualità della vita. Perché le persone non cercano altro oggi, che una marca che dimostri di aver capito i loro bisogni e i loro cambiamenti, non che cerchi a tutti i costi di vendergli qualcosa. Se si crea una forte connessione tra la marca e il consumatore, ecco che la vendita diventa quasi automatica. Io peraltro, anche da creativo, ho sempre preferito avere anche nei brief molti più limiti. Perché quando il lavoro diventa difficile, con una serie di paletti che ne limitano l’azione, la risposta diventa davvero univoca e può diventare più difficile da imitare per i competitor.